martedì 18 dicembre 2012

Babbo Natale esiste per davvero? | Does Santa really exist?


















Il vecchio San Nicola, santo patrono del dono e dei bambini, nacque a Pàtara e viaggiò in Palestina e in Egitto, donando generosamente denaro ai bisognosi, prima di fermarsi a Mira, in Turchia, dove morì.

I suoi resti vennero poi trafugati e deposti presso la Basilica di San Nicola a Bari, in Italia, ma come spesso accade ai santi, si reincarnò (in senso pagano) in Gran Bretagna in età vittoriana, vestito di una lunga tonaca con ramoscelli di agrifoglio nei capelli, finendo per riunire un mix di tradizioni cristiane, pagane, cattoliche, scandinave, germaniche e inglesi.

In Gran Bretagna, grazie ad una canzone tradizionale, iniziò a “scendere giù dai camini” lasciando monete nelle calze vecchie messe ad asciugare. E da li ha preso le sue vecchie, buone abitudini”.

Gli americani, come fanno sempre, hanno aggiunto qualcosa in più, e hanno trasformato il Sint Nikolaas olandese in Santa Claus (con una buona dose di pronuncia americana), il simpatico vecchio con la barba che indossa un caldo cappotto rosso con la pelliccia bianca, e insieme ad otto renne e a Rudolph - la renna dal naso rosso -  vola avanti e indietro dal Polo Nord per lasciare regali dentro le calze o sotto gli alberi di Natale ai bambini buoni.

In Brasile è diventato Papai Noel, non indossa il cappotto ma un vestito di seta rossa, osserva quanti si recano alla messa di mezzanotte (“Missa do Galo”) e vola per tutto il Sud America dove vengono allestiti elaborati presepi con i Re Magi insieme alle loro pecore.

In Europa cambia nome in Balthazar e sostituisce la sua slitta con un asino per lasciare i doni ai bambini spagnoli che preparano scarpe piene di paglia e carote per accoglierlo. Nel frattempo, lasciando spazio in Italia alla Befana, si trasforma in uno gnomo di Natale in Svezia che si intrufola sotto le porte di ogni casa col suo sacco di doni.

In Russia si rimette il cappotto e diventa Babouschka per portare i doni, una volta proibiti.

In viaggio per il Mediterraneo ritorna ad essere St. Nicholas in Grecia, come santo patrono dei marinai, dove si bagna di acqua di mare per raggiungere navi affondate, ma rimanda il dono dei regali al giorno di San Basilio, l’1 gennaio.

Poi fa una breve sosta in Cina, per scorgere la fila di lanterne di carta che decorano gli alberi e per riempire le calze nelle vesti del “vecchio uomo di Natale”, ma i veri doni arrivano alla Festa di Primavera.
 

Conclude il suo viaggio come “Swag Man”, un vagabondo vestito con una canottiera blu e pantaloncini larghi, che salta sulla sua 4x4, viaggia attraverso il deserto per consegnare i suoi doni in tempo per il giorno di Natale, e poi fa un salto in spiaggia prima di ritornare al Polo Nord.
 

E tu che pensavi che Babbo Natale non esistesse!

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Ole Saint Nicholas, the patron saint of giving was born in Patara and made his way through Palestine and Egypt giving coins generously to the poor before coming to rest in Myra in Turkey where his bones were then stolen and laid to final rest in the Basilica of St. Nicola in Bari, Italy. But as saints often are, he was reincarnated (in the Pagan sense) in Britain during Victorian times and dressed in long robes with sprigs of holly in his hair and came to represent a cult mix of Christian, pagan, old catholic, Scandinavian, German and old English traditions. In Britain, thanks to a poem he started “coming down the chimney” and dropping coins in old stockings left out to dry there. And hence does he take up his old generous ways.


The Americans, as they do, took it a step further and the Dutch Sint Nikolaas became Santa Claus, through a dose of American pronunciation, and he got a nice warm red coat with white fur, a red hat, eight reindeers and Rudolph -the red nosed reindeer- to fly back and forth to and from the North Pole with presents to fill stockings and leave gifts under trees for good girls and boys. On his way through Brazil he changes into Papai Noel, strips off the coat and changes into silks and watches over those at the Missa do Galo midnight mass and flies on through South America where elaborate scenes of the wise men and their sheep are set up.



Back over to Europe he swaps his name for Balthazar and his sleigh for a donkey to carry gifts to the Spanish children who lay out shoes filled with straw and carrots to receive him.  Meanwhile, leaving Italy to La Befana, he turns into a Christmas gnome in Sweden and sneaks up from under the floor of each house with his sack of gifts.


In Russia, he puts his warm coat back on and becomes Babouschka to bring the once banned gifts. On his way across the Mediterranean he turns back into St. Nicholas in Greece as the patron saint of sailors and drips with seawater to reach sinking ships, but leaves the present giving to St. Basil’s Day on January 1st.

Then a quick stop in China to eye a trail of paper lanterns decorating the trees and fill the stockings as “Christmas Old Man” but the real gifts there come at the Spring Festival.


He finishes his trip as the “Swag Man” and strips off again into a blue singlet and baggy shorts, gets into his four-wheel drive and makes his way across the deserts to deliver his presents in time for Christmas day and then heads to the beach before going back the North Pole.



Ha, and you thought Father Christmas didn’t exist


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lunedì 17 dicembre 2012

L’italiano ritorna lingua ufficiale dell’UE


























L’Unione Europea conta 23 lingue ufficiali, non una di meno. 

La Corte di Giustizia europea ha accolto il ricorso dell’Italia contro la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea che aveva confermato la validità della pubblicazione dei bandi europei trilingui (inglese, il francese e il tedesco). 

Il Tribunale dell’Unione offrì una sorta di vantaggio ai cugini inglesi, francesi e tedeschi che la Corte di Giustizia, con la sentenza del 27 novembre, ha considerato discriminatorio.  

Secondo la  Corte infatti “il regime linguistico dell’Unione europea definisce come lingue ufficiali e lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione le 23 lingue attuali dell’Unione”.

Il risvolto pratico della sentenza implica che ogni bando di concorso (e relativa procedura) debba essere necessariamente tradotto in tutte le lingue dell’Unione.  

Per l’Italia e gli italiani si tratta comunque di un gran sollievo, data la generale scarsa conoscenza di una seconda lingua.

giovedì 6 dicembre 2012

Made in Italy with gusto













L’influenza sempre maggiore che la lingua inglese esercita sull’italiano è un dato di fatto. 

Abbiamo importato l’uso del fax, facciamo networking, clickiamo quotidianamente il mouse, vediamo la televisione in streaming, facciamo le presentations sulla leadership management nelle conference calls

Ci potremmo chiedere come riuscivamo a fare business in passato. Ma ci potremmo anche chiedere un’altra cosa: come farebbero i madrelingua inglese a fare qualsiasi cosa senza un po’ del nostro italiano?

Grazie alla fortissima presenza delle comunità di migranti italiani sparse sia nel Regno Unito che nel Nordamerica, e quindi al nostro vocabolario tramandato negli anni,  sono in realtà molte più le parole italiane presenti nella lingua inglese che le parole inglesi diffuse nella lingua di Virgilio.

Si tratta perlopiù di parole derivanti dalle varie espressioni artistiche della nostra cultura  (opera, danza, cucina, moda). 

Come farebbe, senza di noi, il maestro di un gruppo a cappella a spadellare gli spaghetti con gusto mentre sua moglie, che indossa le stiletto (proprio una prima donna), mangia i broccoli

Non ci sembra in proprio uno scambio conveniente: lo stress invece della pasta!

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It’s a given fact that Italian, to the horror of many, has been undergoing infiltrations of English for years now.

We’ve imported faxing and networking, clicking and streaming, presentations on leadership management through conference calls. How did we ever do business without it?

Well, I ask how did English speakers ever do anything civilized without a little of our Italian. With the emigration of Italians and therefore our vocabulary over years, it heralds that there are still more Italian words in English than there are English words in Italian, and those are mostly based on our culture (opera, dance, cuisine, fashion).

So how would the maestro of a cappella twiddle his spaghetti with gusto while his wife in stilettoes (such a prima donna) eat broccoli without us?

It doesn’t seem like much of a fair trade to me though: pasta for stress!

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regali di Natale "intelligenti"











Ogni anno in questo periodo ci affanniamo alla ricerca del “regalo perfetto”, per i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro, e i nostri cari. 

Molto spesso scegliamo regali legati ad un bisogno immediato, che possano portare una soddisfazione immediata a chi li riceve. Più raramente si pensa a donare un regalo “intelligente”, inteso come un “investimento” a lungo termine. 

Si possono regalare, ad esempio, soluzioni linguistiche su misura per ogni età, tipo di esigenza e necessità: sicuramente un regalo che dura nel tempo e che non si dimentica facilmente.

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venerdì 23 novembre 2012

La riscoperta del tedesco














La crisi economica porta gli italiani a riscoprire la lingua e la cultura tedesca. 

La Germania è infatti l’unico grande Paese europeo dove la crisi non morde in maniera pesante, e gli italiani, dagli studenti ai manager, riprendono in mano la valigia per dirigersi al Nord, proprio come fecero i loro nonni e bisnonni negli primo e secondo Dopoguerra.

Dati alla mano, negli ultimi tre anni la presenza degli italiani in Germania è cresciuta del 6.4%: nel 2011 i lavoratori italiani in regola erano 189.299 mentre a maggio 2012 erano 232.800 (nel 2005 erano 171mila).

Le cifre sono comunque importanti, e possiamo dire di essere di fronte a una piccola, nuova ondata migratoria - dimostrata peraltro dal recente boom di iscrizioni a corsi di lingua tedesca nelle principali città italiane.

Da Torino a Milano a Napoli, sono sempre più gli italiani che riscoprono la lingua di Nietzsche, soprattutto per ragioni lavorative: emigrare in Germania, oppure avere una opportunità di lavoro in Italia per quelle (tante) imprese nazionali che commerciano con società tedesche.

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mercoledì 21 novembre 2012

A short history of thanksgiving/Storia della Festa del Ringraziamento











La festa del Ringraziamento trova le sue origini nel 1621, quando 100 viaggiatori europei salparono dall’Inghilterra sulla Mayflower, la maggior parte di loro in cerca di libertà religiosa.


Dopo essere giunti a Cape Cod nel mese di novembre, questi pellegrini si stanziarono nelle terre della tribù Algonquin, corrispondenti agli odierni Stati del Massachusetts e del New England. 

Oltre metà dei coloni morì durante quei primi mesi gelidi, a causa di cibo e alloggi inadeguati, e i pochi sopravvissuti tennero una festa di tre giorni per celebrare il raccolto e mostrare la loro gratitudine verso i nativi che li aiutarono a superare il duro inverno.

Nel corso dei due secoli successivi si continuò a festeggiare il raccolto, ma non con il senso tradizionale di una festa: le colonie, le città, i villaggi tenevano i loro “Ringraziamenti” in onore delle vittorie ottenute nelle frequenti guerre contro i nativi. 


Queste celebrazioni erano a discrezione della città e non rappresentavano in nessun modo un simbolo di eredità nazionale; semplicemente volevano essere la commemorazione della vittoria su un gruppo di persone che tempo prima aveva accolto e aveva aiutato, almeno in parte, i nuovi arrivati.

Non vi era nessuno spirito di festa nazionale in queste celebrazioni “minori”. Le torte di zucca, il tacchino, la salsa ai mirtilli rossi, i tre tipi di patate, il sugo di carne (o salsa gravy) … questa parte della tradizione non iniziò nemmeno a prender corpo prima del 1863 quando, durante la Guerra Civile, il Presidente Abraham Lincoln, con la speranza di unificare gli Stati del nord, dichiarò l’ultimo giovedì di novembre festa nazionale per il successo ottenuto a Gettysburg – con un ritorno a quelle radici di celebrazione militare evidenti nei costumi di una giovane società coloniale.

Questa è più o meno la tradizione dai tempi del Presidente Teddy Roosevelt, il quale dichiarò il terzo giovedì di novembre Giorno del Ringraziamento.

Oggigiorno, a distanza di circa un secolo, il Thanksgiving tramanda lo stesso spirito che aveva nel 1621. La gente che si vuole bene si incontra, mangia insieme, si rilassa insieme, si racconta le novità e, ovviamente, guarda il football americano! 

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American Thanksgiving can be traced back to 1621 when about 100 European travellers set sail from England, most looking for religious freedom, on the Mayflower. 

After landing in Cape Cod in November, these Pilgrims began to settle in the lands of the Algonquin Tribes of present day Massachusetts and New England. 

Over half of the new population perished over those first cold months due to inadequate housing and nourishment. The few survivors held a three-day feast to celebrate the harvest and to demonstrate thanks to the native tribes who helped them survive the harsh winter.

Over the next couple of centuries the harvest was celebrated but not in the traditional sense of a holiday. Colonies, towns, and villages would hold their own "Thanksgivings" to honor victories over frequent battles with native tribes. 

These celebrations were as random as a town desired and were in no means a symbol of national heritage or holiday; simply a celebration of victory over a group of people who had, at least in part, once welcomed and assisted these newcomers to the land.

There was no sense of national holiday in these minor celebrations. The pumpkin pies, the turkey, the cranberry sauce, the three types of potatoes, the gravy... this part of the tradition didn't even begin to take shape until 1863 when, during the Civil War in hopes of unifying the northern United States, President Abraham Lincoln declared the last Thursday of November to be a national holiday for the success at Gettysburg - returning to those roots of military or hegemonic victory evident in the thanksgivings of a young colonial society. 

This more or less became the tradition until the time of President Teddy Roosevelt who declared the third Thursday of November to be Thanksgiving, and now, 100 years or so down the road Thanksgiving feels very much like it might have done in 1621.

People who love each other get together, eat together, relax together, give thanks for their tidings, and of course, watch American football!


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giovedì 8 novembre 2012

Il coreano, una lingua “rispettosa”




























Vi sono alcune lingue, tra le quali l’italiano, che a seguito dello sviluppo industriale e sociale del Paese hanno lasciato per strada alcuni formalismi tradizionali (pensiamo all’uso sempre meno frequente del Lei, o alla quasi ’”estinzione” del Voi). 

Non è questo il caso del coreano, una lingua che presenta a tutt’oggi molti livelli di cortesia (ben sei) che servono a indentificare la posizione degli interlocutori nel contesto sociale, ancora altamente gerarchizzato.


Due coreani che conversano tra loro utilizzano la forma di cortesia che classifica il rispettivo grado all’interno della piramide sociale. 

Durante una normale conversazione vengono presi in considerazione molteplici fattori: dall’età al grado di istruzione, dall’anzianità lavorativa al grado di parentela. 


Ma la cortesia non si esprime solo attraverso la lingua: quando si parla con un “superiore”, le parole, ma anche i gesti e il modo di fare dell'”inferiore” devono essere cortesi e quasi sottomessi. 

Conoscere questi aspetti e sfumature diviene indispensabile per intrattenere business di successo con aziende, colleghi e clienti coreani.

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venerdì 2 novembre 2012

Parli cinese? C’è lavoro per te

boom di iscrizioni ai corsi di cinese in Italia



















Nelle ultime settimane tutti i principali quotidiani italiani hanno dato la notizia del boom di corsi di cinese in Italia.  

Nell’anno in corso gli italiani che stanno studiando il mandarino sono circa 10.000.  Le cifre sono importanti in tutta Italia ma risaltano in particolar modo a Milano, dove il preside del linguistico «Manzoni», Giuseppe Polistena, intervistato dal Giornale,  afferma che i  milanesi che vogliono studiare il cinese sono un numero tale da non poter essere soddisfatto.

Il boom è legato non tanto alla (improvvisa) passione per la cultura cinese degli italiani, quanto alle concrete opportunità di lavoro che l’apprendimento del cinese porta in dote.

Negli ultimi anni infatti il peso economico della Cina è cresciuto anche nel nostro Paese, sia a livello di turismo in entrata che di scambi commerciali:  nel 2011 Pechino è divenuto il terzo partner commerciale di Roma, mentre nello stesso anno i cinesi in viaggio di piacere nel Belpaese hanno superato i 150.000. Imparare il cinese ti aiuta a trovare lavoro.

Reference